TPT® e nanomateriali – Materiali del futuro

TPT® e nanomateriali – Materiali del futuro

 01.05.2012 – Nautica n.601 – by Stefano Beltrando
 
Sebbene diversi progetti universitari ed alcuni in ambiente cantieristico tentassero di fare una svolta tecnologica, alla prova dei fatti non si avevano reali novità dai tempi dell’infusione, con i metodi nati in olanda e negli stati uniti quindici anni or sono. È il caso di dire a questo punto che dopo tante chiacchiere arrivano finalmente i fatti; e non deve sorprendere che questi giungano in un momento di gran crisi. Infatti cantieri e fornitori di materie, trovandosi nell’esigenza di distinguersi nel mercato e soprattutto sopravvivere si sono finalmente spinti in nuove direzioni, trasformando idee e progetti in qualcosa di concreto che va al di là di test di laboratorio e può finalmente incontrare il mercato nautico su più livelli.
Di seguito forniamo due esempi.TPT® e nanotecnologieTPT è l’acronimo di Thin Ply Technology®, ovvero tecnologia a strati sottili. Il nome fantascientifico nasconde quanto già noto ma mai sperimentato fino a questo punto. Ovvero più sono sottili gli strati che costituiscono un laminato, a parità di spessore finale, e maggiori saranno le sue proprietà meccaniche. Questa teoria è la stessa applicata dai fabbricanti di compensato di legno ed è la ragione per la quale i pesanti strati di carbonio da 400g/m2 impiegati per fare le barche da regata sono stati sostituiti con dei 200 per poi arrivare a 125. Thin Ply Technology® entra in gioco a questo punto dato che la definizione del termine thin si è posta al di sotto dei 100g/m2 per scendere fino a 25. Perché sottile è meglio? Immaginiamo di avere un muro di casa realizzato con 4 mattoni. Qualora uno solo dei mattoni fosse per qualche ragione difettoso avrei un alto rischio di collasso del muro, stessa cosa dicasi per i difetti indotti dalla posa del mattone stesso. Qualora avessimo lo stesso muro fatto con 40 mattoni, il difetto del singolo mattone diventerebbe poco influente per la solidità complessiva. Immaginiamoci se aumentassimo di un altro ordine di grandezza il numero dei mattoni. È altresì vero che qualora vi fosse più di un mattone difettoso sarebbe davvero improbabile che questi si trovino in zone adiacenti. Basandosi su questo principio si è sviluppata tutta una tecnologia che ha portato le fibre di carbonio ad essere sempre più sottili da 11 a 5 micron (meglio avere moltissimi filamenti che uno solo a parità di peso) ed i tessuti sempre più sottili.
Ovviamente è più difficile maneggiare un tessuto più leggero e fragile, costa il doppio del tempo deporre 2 strati da 50g rispetto ad uno da 100 ma i vantaggi si vedono ed i progettisti assieme ai costruttori più capaci si sono lanciati in questa direzione. Questa tecnologia di realizzazione di tessuti preimpregnati (ovvero la resina impregna i tessuti fin dalla loro fabbricazione e si trova in una fase “congelata” che ha bisogno di essere attivata mediante un ciclo in forno ad almeno 80°C) è nata in Svizzera vicino a Losanna in una zona che ha dato i natali a diverse rivoluzioni nel mondo della nautica e come alcune altre ha visto Ernesto Bertarelli come finanziatore del progetto. Ad oggi il brevetto è stato acquistato dal gruppo North Sails che ha in serbo delle sorprese che saranno certamente rivoluzionarie.
La prima rivoluzione che forse è più un evoluzione è data dal miglioramento delle performance strutturali.

La seconda e più importante a mio avviso è che questo genere di tessuti se accoppiato ad un sistema di deposizione automatico, permette la realizzazione di componenti in composito in maniera automatica. Si tratta di applicare sula testa di un plotter diverse bobine di carbonio preimpregnato e far sì che vengano deposte e compattate secondo direzioni e forme preordinate in accordo con i progetti realizzati al computer. Risultato : macchine che sostituiscono l’uomo e lavorando più velocemente e con maggior precisione realizzano componenti più efficienti. Sorprendente visto che la tecnologia già esiste e funnziona. Non bisogna preoccuparsi e credere che sia un altro caso in cui la tecnologia crea disoccupazione perché in realtà servono sempre operatori che fanno funzionare la macchina ma soprattutto un componente nautico avrà sempre bisogno di quei dettagli che solo un uomo può realizzare.

La terza rivoluzione è che un solo vero materiale composito ovvero fibra+matrice potrà essere usato in campi più disparati. Per esempio con la stessa bobina di TPT® si possono fare (e si sono fatti) : vele, aerei, auto, barche , alberi e sci. Proprio le vele sono una delle ragioni per le quali il gruppo North si è accaparrato l’idea. Avendo grammature così basse la realizzazione di una vela diventa un passo semplice dato che risulterà come fare una barca, cioè deponendo strati orientati secondo le linee di carico in uno stampo e cuocendoli in forno per reticolare la resina. Un ulteriore vantaggio con strati sottili sarà di poter orientare le fibre in più direzioni a parità di spessore di laminato potendo quindi garantire resistenza in più direzioni. Un esempio di laminato sottile e per questo critico può essere quello della canna da pesca. La si vuole leggera e per questo la stragrande maggioranza dei tessuti viene esclusivamente disposta lungo l’asse della canna, è chiaro che se le dita stringessero troppo forte, la canna potrebbe collassare. Al contrario stratificando un film sottile di carbonio trasversale si aumenterebbe di molto la resistenza allo schiacciamento aumentando il peso di una frazione infinitesima.

Cosa sta succedendo quindi nel mondo del composito
Southern Spars il colosso degli alberi in carbonio ha già realizzato due grossi alberi con il TPT® tagliato automaticamente ma deposto a mano, l’aereo a propulsione solare solar impulse, volava con il TPT® e lo stesso dicasi per un produttore di sci svizzero. Dove non ci si è ancora spinti in pratica ma il progetto è già pronto è realizzare uno scafo intero in modo semiautomatico realizzando dei kit di tessuti pretagliati e deposti che andranno poi uniti ad altri kin fino a ricoprire la superficie dello stampo per poi essere cotti. Di sicuro la prossima Coppa America vedrà larghissimo uso di questo materiale . Quello che però sarà più sorprendente sarà vedere delle barche “normali” con le vele in tessuto che sfoggeranno delle “lame” in carbonio puro pur potendole ancora ammainare dato che una certa flessibilità è ancora garantita da una resina particolare e dal basso spessore dei filamenti.

Compositi con nano particelle
Negli scorsi anni si è molto parlato delle nanotecnologie come di un Eldorado pronto da cogliere ed in grado di risolvere decine di stalli dei materiali. Come quasi sempre accade, molti sono stati gli articoli scritti in merito ma ben poco è arrivato nel mondo reale.Finalmente invece possiamo dire che nel mondo del composito e della nautica in particolare le resine caricate con nano particelle sono arrivate e sembra con buone prospettive di successo.
Intanto per ricordare il significato della parola nano (che sta per nano metro ) basti pensare ad un numero preceduto da 9 zeri perché tale è la dimensione in metri di un “nano qualcosa”. Particelle così piccole nel caso della resina riescono ad interagire con gli atomi della resina stessa contribuendo alle sue caratteristiche meccaniche . Si tratta di un composito nel composito, ci siamo abituati alla situazione classica in cui la resina è la matrice e la fibra il rinforzo mentre adesso dobbiamo aggiungere la “nano carica” ovvero l’ingrediente che contribuisce a migliorare la resina e di riflesso il composito in generale. Per il momento vi sono due correnti principali , una che utilizza nanotubi di carbonio cioè strutture tubolari realizzate da atomi di carbonio mentre l’altra utilizza nano sfere di silicio che come dice la parola sono come delle piccolissime palline di vetro disperse nella resina. Pare , da test svolti, che i nano tubi aumentino la viscosità della resina in maniera eccessiva riducendo la fluidità della stessa, cosa che con alcune tecnologie come l’infusione mal si combina.
Dalle tabelle proposte dai produttori di queste resine innovative sembrerebbe che la resistenza a compressione sia il dato più interessante in quanto i parla di un incremento pari al 30% cioè un infinità soprattutto se si pensa che un albero insartiato è sostanzialmente posto a pura compressione per tutta la propria vita. Perché è sempre la resina l’anello debole del composito carbonio/resina nel caso dello sforzo a compressione; per cui aumentare questo valore vuol dire rivoluzionare la progettazione degli alberi solo per fare un esempio. Al tempo stesso si osserva un leggero aumento della densità della resina che passa da 1,2 circa ad 1,4 kg/dm3 che è l’ovvia conseguenza dell’inserimento delle cariche.

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