Fare la ‘TAC’ alla barca

Fare la ‘TAC’ alla barca

 01.12.2003 – Bolina – di Stefano Beltrando, Miriam Cerutti
 
Tramite ultrasuoni è oggi possibile effettuare con precisione l’analisi dello stato di imbarcazioni e dei componenti.Nel 1998 iniziammo la ricerca di un metodo in grado di risolvere un problema vecchio come la vetroresina ma che diventa ogni giorno più attuale. Ovvero essere in grado di diagnosticare tutte le possibili anomalie e difetti che affliggono le strutture in composito in modo non distruttivo.
Il metodo da me ricercato doveva essere in grado di venir eseguito in qualunque condizione; a strutture in opera e fuori opera, in acqua come su di un piazzale e su qualunque struttura come alberi, timoni e scafi . Inoltre lo spessore del gelcoat o degli stucchi o dei piani di laminazione molto complessi non dovevano rappresentare alcun problema.
Partendo da una breve esperienza in campo aerospaziale, la mia scelta sul metodo, cadde inevitabilmente sull’impiego degli ultrasuoni, nello specifico il metodo denominato Pulse echo, ovvero, come nell’ecografia per gli umani, si impiega un apposito trasduttore emettitore di onde ultrasonore da inviare sul campione in analisi e successivamente si passano ad interpretare tutti gli echi prodotti dalle interfacce tra i diversi materiali che costituiscono il campione.
I suoni percepibili dall’orecchio umano partono da 10 Hz ed arrivano a frequenze di circa 20 KHz, oltre tale soglia il suono diventa ultrasuono. E’ da notare che, anche se cambia il nome non cambia il concetto fisico, cioè suono ed ultrasuono sono entrambi generati da una differenza di pressione; la differenza risiede nella distanza tra le zone di compressione successive (i massimi dell’onda) e quindi nella frequenza.
L’intervallo di frequenze normalmente impiegate nelle analisi U.S. parte dai 100KHz fino ai 50 MHz. Per poter dare luogo a fenomeni di riflessione e rifrazione e quindi essere rilevabile dall’operatore, la lunghezza d’onda del raggio indagatore deve essere di dimensioni prossime a quelle dell’ostacolo (leggi discontinuità, difetti ecc..). Per dare un’idea, si consideri che la velocità degli ultrasuoni nella vetroresina è di circa 2300 m/s; nel caso delle strutture nautiche i difetti cominciano a diventare importanti a partire dalle dimensioni di 0.1 mm e si usano quindi frequenze da 0.5 a 5 MHz che corrispondono a lunghezze d’onda di 4,6 mm e 0.46mm. La diffusa indagine a “tapping” per individuare delaminazioni nella vetroresina prevede di picchiettare la superficie con un oggetto e valutare l’eco sonoro di risposta. Si deduce dai dati precedenti che tale metodo di indagine permette di individuare difetti che abbiano una dimensione minima di 115 mm, spesso troppo elevata per intervenire tempestivamente a risolvere il problema.Cosa sono gli ultrasuoni
Come qualunque perturbazione ondulatoria, gli ultrasuoni sono descritti da lunghezza d’onda, frequenza, periodo e velocità di propagazione. Sono perturbazioni meccaniche e quindi necessitano di un mezzo elastico in cui viaggiare, sia esso liquido, solido o gassoso. I più comuni metodi di analisi con ultrasuoni utilizzano sia le onde longitudinali che quelle trasversali (a volte contemporaneamente), in entrambi i casi l’onda ultrasonora investe le particelle del mezzo disposte su piani perpendicolari alla direzione di propagazione regolarmente distanziati. Durante la propagazione dell’onda sonora si determinano zone di compressione (alta pressione) e zone di rarefazione (bassa pressione)
Uno delle più importanti parametri che caratterizzano un’onda ultrasonora è la sua velocità, che rappresenta lo spazio percorso dall’onda nell’unità di tempo e si misura in m/s. E’ da sottolineare il fatto che tale velocità varia al variare del tipo di materiale e del tipo di onda che lo attraversa.
Nella tabella seguente sono indicati i valori della velocità delle onde acustiche longitudinali in alcuni materiali. Per i materiali compositi i valori sono indicativi poiché dipendono dalla tecnica di costruzione e dal tipo di materiali impiegati. Indicativamente, la velocità aumenta migliore è la compattazione degli strati.

Materiale
Velocità dell’onda Sonora longitudinale (m/s)
Resina
2200
Vetroresina monolitico
2200 – 2600
Epossidica + Carbonio monolitico
2600-2900
Sandwich con anima di nomex
2100-2300
Sandwich con anima di bals
2900-3000

Quando un fascio ultrasonoro colpisce perpendicolarmente un’interfaccio tra due materiali A e B con differente impedenza acustica Z, parte del fascio viene riflesso e l’altra parte trasmesso.
La misura relativa del fascio trasmesso e riflesso è data da due coefficienti, dipendenti dalle Za e Zb dei due mezzi.

Pi = impulso; Pt= impulso trasmesso; Pr= impulso riflesso


L’ANALISI DI SCAFO SANDWICH


La tecnica sembrava di facile applicazione così come d’altronde è nel settore aeronautico, tuttavia la realtà nautica comportava alcuni grandi problemi.
La maggior parte dei laminati sono realizzati ed impregnati a mano con conseguente discontinuità nella concentrazione di resina , unitamente al fatto che spesso vi sono grandi spessori variabili di stucco, gel coat o bonder vari. Inoltre visto che la nostra attività si è inizialmente concentrata sulle imbarcazioni da regata abbiamo sempre avuto a che fare con materiali ibridi come vetro-kevlar o vetro-carbonio, per citarne un paio.
Fu quindi necessario catalogare dal punto di vista ultrasonoro tutti i tipi di composito in tutte le sue possibili combinazioni, successivamente la stessa cosa fu fatta per tutti i possibili difetti nei campioni di cui sopra.
Scoprimmo che ogni interfaccia tra materiali diversi è in grado di fornire uno spettro ultrasonoro caratteristico alla stessa maniera per cui una firma caratterizza un individuo: se la firma della struttura non è leggibile, è alterata o contraffatta allora c’è un’anomalia nella struttura.
Come è facile immaginarsi la parte più ardua fu essere in grado di vedere e comprendere ogni minima sfumatura dello spettro ultrasonoro in modo da essere in grado di estrarre dal nostro campione tutte le informazioni che racchiude.
Caratterizzare i difetti vuol dire raccogliere campioni appositi, prelevarli dalle strutture o prenderli a prestito dai cantieri, dopo di che si analizza il campione ed infine lo si distrugge o lo sia attacca chimicamente in modo da mettere in luce la problematica riscontrata ed avere così la conferma dell’analisi.. Questa fu senz’altro la parte più formativa del lavoro di ricerca da noi intrapreso, in quanto permette di far cadere luoghi comuni o consolidare supposizioni ed infine arrivare ad intuire la dinamica della nascita e della crescita di un difetto.
Il lavoro di ricerca non si limitò a questo, visto che era ancora fondamentale affrontare due aspetti:

1. che nome dare ai difetti
2. come valutare l’importanza di un difetto nei confronti della vita di una struttura

Sebbene il primo punto possa sembra banale, scoprimmo ben presto che la varietà dei difetti nel composito necessitava di una nomenclatura e caratterizzazione obiettiva ed univoca. Per esempio una “delaminazione lucida” è ben diversa da una “delaminazione frastagliata” sia per le cause che per le conseguenze, anche se parliamo sempre di delaminazione.
Lucida vuol dire che i due strati adiacenti non sono mai stati in contatto; la resina è quindi polimerizzata sui due strati in modo separato rimanendo per tanto lucida come una vernice.
Frastagliata al contrario vuol dire che siamo di fronte ad una delaminazione causata dalle sollecitazioni che la struttura ha subito in seguito all’uso che se ne è fatto. Infatti in questo caso i due strati che erano inizialmente in contatto, per una qualche ragione sono stati forzatamente separati; di conseguenza si avrà la frattura della resina che tiene i due strati in contatto e la superficie apparirà scabra.Vi è poi una situazione intermedia fra le due ovvero “porosità diffusa e concentrata” così come ci apparirebbe l’incollaggio fra uno strato di carta abrasiva ed una superficie perfettamente lucida e piana. L’immagine che possiamo farci di questo incollaggio è quella di isolette incollate sparse in un mare di vuoti. Se provassimo a delaminare forzatamente i due strati , non dovremo fare una gran fatica e ciò che vedremmo sarebbe una serie di piccole aere lucide adiacenti ad altrettante piccole aree scabre, quindi delaminazione lucida + frastagliata.
Affrontare il secondo aspetto ovvero definire la gravità di un difetto è stato ed è tuttora la ragione dei nostri più grandi sforzi.

La procedura

Quando devo dire ad uno skipper che deve navigare a 30 nodi in solitario attraverso l’oceano Atlantico : “c’è una delaminazione di 30 cm2 lungo la linea di galleggiamento!” gli do solo una cattiva notizia o addirittura tragica?
In altre parole: è normale che ci sia una delaminazione ogni tanto nello scafo e comunque non è importante oppure siamo di fronte all’inizio di un processo di degenerazione della struttura?
La risposta è che bisogna farsi subito delle altre domande:

1. dove è localizzata e quanto è grande il problema?
2. che tipo di anomalia abbiamo di fronte?
3. Era presente fin dal varo oppure è nata recentemente?
4. Interessa strutture vitali per lo struttura?
5. E conseguenza di uno stress di navigazione o di trasporto o assmblaggio?
6. E’ un problema riconducibile alla tecnica di costruzione e materiali impiegati? ( s esì allora tutta la struttura è a rischio)
7. Si può riparare in fretta senza arrecare maggior danno al resto della struttura?
8. Quanto costa e quanto tempo abbiamo per ripararlo?
9. Abbiamo un data base di problematiche simili?
10. che tipo di navigazione andrà ad affrontare?

Una volta trovate le 10 risposte sappiamo se preoccuparci o meno.
Alcune di queste risposte posso darle da me o con l’aiuto dello skipper o del cantiere costruttore, mentre per le altre cerco sempre di interpellare il progettista o lo strutturista ed approfondire con lui l’analisi. In questo modo cresce anche il know how del team composto da me, i progettisti, lo skipper ed il cantiere.

Quello che non tutti sanno è che benché i principali clienti della Q.I. siano imbarcazioni hi-tech; lo stesso metodo e procedura possono essere impiegati per la verifica di più semplici e classiche imbarcazioni in vetro resina.
Basti pensare che ogni anno controlliamo circa 30 scafi in resina poliestere, in seguito ad impatti con il fondale. In tali casi, l’obiettivo sul quale si focalizza l’attenzione è la ricerca dell’area o del punto in cui l’energia dell’impatto si è “sfogata”. Quindi la nostra procedura prevede :

a. verifica ultrasonora dall’esterno dello stato del fasciame. In questa fase vengono ricercate e messe in luce tutte le delaminazioni intercorse in seguito all’impatto tra i diversi strati che costituiscono il fasciame
b. verifica ultrasonora dall’interno dello stato delle strutture interne e del loro incollaggio con il fasciame. In questa fase si cerca di capire se la propagazione dei danni ha raggiunto madieri, paramezzali e paratie. Si vanno quindi a cercare scollamenti, fratture e delaminazioni

Visto che l’analisi è puntuale, ovvero l’analisi può descrivere precisamente lo stato della zona sottostante la sonda, una normale analisi richiede l’ispezione di almeno 200 punti il che richiede circa una giornata di lavoro su di un 35’ a vela.
Al termine di questa indagine si potrà avere un quadro certo ed inequivocabile dello stato delle strutture e dello scafo dopo l’incidente ovvero presenza e posizione di delaminazioni, fratture, inclusioni, scollamenti….
Il metodo, riconosciuto come innovativo e fondamentale per la conoscenza dettagliata e completa dello stato del composito, è ora largamente apprezzato da enti di registrazione navale e compagnie assicurative che hanno così nella Q.I.Composites una nuova arma tecnologica per scoprire le anomalie che sfuggono all’analisi visiva.

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