Mega-maxi yacht: soluzioni per il rigging

Mega-maxi yacht: soluzioni per il rigging

   01.09.2003 – Nautica Superyacht International , supplemento al n.505 di Nautica – di Stefano Beltrando
 
Pare che ultimamente fioriscano ovunque progetti di imbarcazioni sempre più grandi, che non per questo direi tecnologiche, in quanto restano “semplicemente” imbarcazioni di grandi dimensioni.
Infatti la tendenza che si osserva ultimamente è di far crescere le dimensioni delle imbarcazioni e di conseguenza degli alberi senza però sviluppare necessariamente la tecnologia costruttiva o i materiali come per esempio accade sugli open 60 o tri 60. La risposta è semplice, ovvero le grandi dimensioni portano con sé grandi carichi grandi rischi e soprattutto grandi costi. Tali progetti pertanto tendono a sviluppare filosofie più conservative, visto che il disalberamento di un 50 metri porta delle conseguenze sicuramente più catastrofiche rispetto ad un day boat. Per fare un esempio, si pensi che il nuovo mega yacht Mirabella ha il fasciame impregnato con resina vinilestere, ovvero una resina che non viene neanche più impiegata sulle derive, che favoriscono la più performante epossidica. D’altro canto è molto più facile trovare operatori abili a lavorare la vinilestere così come sono minori i rischi di errore o di polimerizzazione.
Passando agli alberi possiamo pensare che oggi quando si parla di mega/maxi yacht non c’è praticamente più l’imbarazzo della scelta per quanto riguarda i materiali in quanto il carbonio è praticamente l’unico materiale in grado di sostenere gli enormi carichi ai quali verrà sottoposto senza per questo essere eccessivamente pesante. L’alluminio resta impiegato nei casi in cui la tradizione ha il sopravvento come in Olanda o Germania e comunque mai per imbarcazioni per le quali la performance non è tra i primi obiettivi da raggiungere.


Assodato che la fibra di carbonio resta il materiale principe bisogna enunciare un altro assioma ovvero non esistono praticamente più alberi realizzati senza l’uso del vuoto o meglio ancora dell’autoclave. Infatti l’alto numero di strati che costituiscono un albero non può assolutamente accettare la semplice compattazione manuale, in quanto si avrebbe una quantità di vuoti inaccettabile tale da rendere vano l’uso del carbonio.
Si consideri a tale proposito che lo spessore minimo di un albero da maxi è di circa 5 mm mentre il maggior spessore per un mega yacht può essere di 80 mm; sapendo che lo spessore medio di uno strato di preimpregato compattato con il vuoto è di circa 0,4 mm si deduce che nei due casi proposti il numero di strati laminati andrà da 12 a 200!.


Il maggior problema che quindi deve essere affrontato dagli “alberai” è come riuscire a far aderire perfettamente tutti questi strati gli uni agli altri anche perché a complicare le cose vi è la geometria dell’albero stesso che non solo ha mediamente un profilo ellittico ma in alcuni casi ha angoli che arrivano ad essere di 90° con la conseguente difficoltà di flessibilità dei tessuti che si oppongono alle pieghe.
Pertanto, pur avendo ottimi prodotti con la tecnica del vuoto, il sogno dei costruttori è quasi unanime: l’autoclave. Tale strumento, permettendo una pressione sul laminato di 3 – 5 bar, garantisce la maggior compattazione possibile.

Ci terrei a sottolineare un aspetto fondamentale:
Ottimi laminatori in possesso di una corretta procedura di costruzione che impiegano il vuoto faranno sicuramente un ottimo prodotto; mentre non si può dire la stessa cosa di un’autoclave nelle mani di improvvisati costruttori. In quanto se a priori il laminato è ben disposto il vuoto sarà sufficiente a dare la corretta compattazione, quando invece 50 strati mal coesi saranno inamovibili anche all’autoclave più performante.
A questo punto spetta una panoramica alla fase di polimerizzazione della resina, passo contemporaneo od in alcuni casi successivo alla compattazione degli strati. Quasi tutti ormai portano il laminato a temperature che superano i 70°C fino in alcuni casi 140°C; la ragione è quella di garantire la totale reticolazione della resina ed allo stesso tempo spingere verso l’alto le prestazioni della resina che vanno di pari passo con la temperatura di reticolazione.

Resta il problema che un albero da 30 a 70 m per essere portato a 70°C ha bisogno di qualcosa di più di una tenda riscaldata. Il problema viene risolto con tre metodi:

1. stampo riscaldato da circuito d’olio o resistenze elettriche (raro)
2. forno riscaldato ad aria calda che ingloba lo stampo (più diffuso)
3. forno scorrevole che un po’ alla volta “cuoce” tutto l’albero (nei casi di alberi di dimensioni superiori ai 50m)

La costruzione dell’albero di Mirabella ha fatto sperimentare un nuovo metodo che prevede l’applicazione di pannelli flessibili allo stampo, percorsi da spire elettriche che si riscaldano se percorse da corrente.
Una volta sgusciato l’albero dallo stampo inizia la parte più lunga ovvero quella che prevede l’applicazione dei fittings, rinforzi, l’esecuzione di fori o intagli che serviranno ad ospitare sartie, drizze, cavi e crocette.
In molti casi prima dell’esecuzione dei fittings bisogna provvedere all’assemblaggio delle parti dell’albero stesso, in quanto spesso l’albero non viene realizzato in un solo pezzo ma può essere costituito da una parte anteriore ed una posteriore, oppure lato destro e sinistro, finanche parte alta, media e bassa. In tutti questi casi risulta ovviamente necessario riunire tutti i pezzi ed essere certi che tali giunzioni non appesantiscano la struttura ma anche che non rappresentino punti di debolezza.

Tale operazione può essere svolta sia mediante incollaggi delle parti che incollaggio ed imbullonamento, oppure incollaggio e successiva laminazione di rinforzi. E’ superfluo dire quanto sia delicata questa operazione che spesso rappresenta una delle cause di “preoccupazione”. In realtà tutte le problematiche riscontrate dalla Q.I. Composites relativamente alle giunzioni non sono mai state pregiudicanti per la struttura.
Attualmente le più importanti soluzioni congegnate per il design degli alberi sono state il “millenium rig” inventato dai Neozelandesi durante la coppa del 2000 che sostituiva due crocette con altrettante intersezioni delle diagonali all’interno dell’albero ed il sistema denominato Aerorig ™ il quale prevede l’uso di un albero a profilo alare privo di sartiame, rotante sul proprio asse munito di boma per la randa e per il fiocco. Al di fuori di queste due soluzioni non si è visto niente di nuovo in quanto negli altri casi ci si limita a fare alberi sempre più grandi ma senza vere rivoluzioni progettuali. Si cerca di limitare il peso, semplificare alcuni elementi, primo fra tutti l’uso delle sartie volanti, ormai pressoché estinte dai maxi in su.

Schema millenium rig
Il millenium rig che si proponeva di essere la scelta “finale” per ogni maxi si è poi molto ridimensionato in quanto l’affidabilità di un maggiore numero di crocette non viene sostituita dagli incroci delle diagonali, resta inoltre il fatto che la corretta regolazione di tali alberi richiede sicuramente più tempo e personale esperto.

Schema aerorig
In pratica l’albero viene ruotato a seconda dell’angolo di incidenza del vento ed allo stesso tempo si espongono la randa ed il fiocco secondo l’angolo ideale. Il vantaggio è al tempo stesso aerodinamico e di praticità di manovra in quanto l’unica regolazione che resta è quella della rotazione dell’albero, sono quindi abolite scotte randa e fiocco. Inoltre nelle andature portanti il fiocco si trova in una situazione privilegiata rispetto all’armo tradizionale in quanto non viene a trovarsi sottovento alla randa ma parimenti esposto al vento. Sono stato personalmente coinvolto in un progetto denominati “Erika” in Olanda in cui l’armo prescelto per l’imbarcazione in alluminio di 47 m è stato proprio un aerorig di circa 51 m di lunghezza. In tal caso l’albero è stato realizzato in una parte posteriore ed una anteriore, va detto che durante il controllo della parte anteriore, le dimensioni della stessa permettevano di passeggiare tranquillamente all’interno del laminato essendo egli molto più simile ad uno scafo che ad un consueto albero messo su due cavalletti. Nell’intento dell’armatore c’è il desiderio di soddisfare il suo desiderio di lunghe navigazioni in equipaggio ridotto alla famiglia in cui vi fosse il minimo per quanto riguarda complicazioni del piano di coperta.

Alberi di altezza superiore ai 30 metri danno modo di osservare ogni giorno quali possano essere le conseguenze inaspettate, ma anche il fascino, portato dal desiderio di gigantismo.
Per fare un esempio si immagini che il peso di una drizza di testa d’albero di Mirabella pesa di più dell’eventuale operatore che debba fare una normale ispezione del rigging.

Stefano Beltrando della Q.I.Composites si occupa di analisi non distruttive su strutture in composito in modo da verificarne la qualità e la sicurezza. In questo ambito ha personalmente partecipato a numerosi dei principali progetti agonistici e non degli ultimi 4 anni.

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