Vizi di Coppa

Vizi di Coppa

 01.08.2007 – Nautica n.544 – di Fabio Petrone

Intervista di Fabio Petrone a Stefano Beltrando

Stefano Beltrando ha 31 anni e nel 2001, ad Aukland, ha iniziato a collaborare con Luna Rossa. Nella scorsa e nell’attuale campagna di Coppa America, a Valencia, assieme ai colleghi Miriam Cerutti e Ariberto Strobino, ha continuato a fornire il suo prezioso contributo a molti dei sindacati che hanno partecipato alla Louis Vuitton Cup. Proprio per l’esperienza maturata in questi anni di attività con gli sfidanti, lo abbiamo intervistato per capire se anche i costosissimi e ipertecnologici scafi di Coppa America possono essere soggetti a problematiche strutturali.

Di cosa ti occupi esattamente?
Dal 1999 mi interesso, cercando di approfondire sempre di più, del controllo non distruttivo mediante ultrasuoni ed in particolare delle sue applicazioni ai materiali e strutture composite. Parallelamente c’è uno studio altrettanto approfondito ed in evoluzione delle infinite possibili difettosità che queste strutture possono incontrare nella loro vita.
Nel 1999 appunto fondammo la Q.I.Composites la cui finalità era appunto la nascita di un polo di riferimento nell’analisi non distruttiva del composito nautico, che successivamente ha poi sconfinato in altri settori dall’eolico all’aerospaziale.

Quale è l’attività principale che svolgi per i team di coppa america?
A differenza della coppa del 2003 in cui lavoravo in esclusiva per un solo team (PRADA), in questa abbiamo deciso e con il pieno accordo dei team coinvolti di prestare il nostro servizio a più challenger senza legarci a nessuno in particolare. Chiaramente questa decisione ha comportato dei cambiamenti nell’approccio e nei rapporti professionali. Di conseguenza la nostra attività ci ha portati ad occuparci esclusivamente di diagnostica ovvero controllo delle strutture, barche o alberi e successivo rapporto dei risultati, realizzando per ciascun team uno specifico data base del monitoraggio e delle difettosità.
Quindi sono state bandite tutte quelle attività che possono essere considerate R&D da qualunque punto di vista, dalla scelta dei materiali a quella delle tecnologie per lavorarli o ripararli. Ovviamente banditi anche commenti, possesso di piani e la comunicazione tra un team e l’altro di qualunque informazione tecnica o strategica, persino la più banale.


Quali sono i team per cui avete lavorato e quante le barche ispezionate?
Nell’arco di tutta la coppa sono stati diversi i team per cui abbiamo lavorato : ORACLE, LR, ML, +39, Desafio, ETNZ, Shosholoza e Victory mentre invece un rapporto di continuità dalla costruzione dello scafo fino al monitoraggio periodico solamente con i tre team italiani più desafio e shosholoza. Il vantaggio indiscusso per i tutti i nostri clienti è che maggiore è il numero di barche ispezionate e maggiore e più rapida è la nostra abilità nell’ individuare i difetti. Avendo controllato ad oggi una ventina di scafi (su 100 vari totali) e quasi trenta alberi possiamo dire di avere forse il maggior data base dei guai e dei danni subiti dalle imbarcazioni che partecipano alla Coppa America.

Difetti più frequenti negli scafi e negli alberi?
Per qualunque strutture il rischio più frequente è la non perfetta rispondenza ai piani costruttivi per i più svariati motivi:

1. difficoltà nell’approvvigionamento dei materiali
2. oggettive difficoltà costruttive
3. distrazione o scarsa organizzazione e controllo

Purtroppo tale tipo di difetto è quello che risulta essere il più dannoso a lungo andare. Per fare degli esempi; non sono rari gli scambi di densità delle schiume utilizzati come “core”, oppure l’errato posizionamento di un rinforzo (per esempio negli alberi), così come locale scarsità di materiale.
Quest’ultima problematica causata dalla psicosi che nel dubbio si debba risparmiare peso.
Ci sono poi errori e viste dei costruttori (sempre più rare) nel compattare i tessuti o applicare il vuoto. La bestia nera è poi il rischio di abbandonare il “backfilm” dei pre impregnati tra gli strati di carbonio ( si tratta della pellicola di supporto delle fibre che deve essere rimossa una volta che le fibre sono deposte). Questo difetto è persino difficile ad essere individuato con gli ultrasuoni in quanto se ben inserito nella laminazione non denuncia la sua presenza. E’ necessario che la struttura venga sollecitata (navighi) affinché attorno al film si producano microfratture poi identificabili.
Altro difetto frequente risultano essere le fratture degli incollaggi in aree strutturali causate dall’eccessiva fiducia nelle colle impiegate che tuttavia non sempre danno il risultato sperato a causa delle frequenti difficoltà oggettive di applicare correttamente gli adesivi

La classifica finale rispecchia la qualità costruttiva delle barche?
La risposta potrebbe sorprendere ma è no. La ragione è la seguente:
a causa delle regole di stazza molte aree degli scafi e del rig sono sovradimensionati, quindi possono benissimo alloggiare dei difetti senza minimamente compromettere le prestazioni delle strutture stesse. In pratica si potrebbe fare una mappa che definisce il livello di qualità minimo accettabile a seconda dell’importanza della struttura. Una volta raggiunto questo livello, un extra qualità non serve, è quindi inutile perseguire la perfezione. Tuttavia la passione dei costruttori spinge chiaramente e giustamente la ricerca del massimo. Ad un team cosiddetto minore suggerirei senz’altro di farsela questa mappa in modo da poter risparmiare soldi limando ovunque. Ovvero per esempio l’autoclave è una macchina utilissima per compattare i tessuti di carbonio ma alcuni elementi non ne hanno bisogno; il pre preg è pratico ma costoso ed in alcune aree può essere sostituito dal classico wet lay up.
Alcuni elementi realizzati per esempio da un team di punta come ORACLE rasentano la qualità e la bellezza di opere d’arte, ma dal punto di vista dell’efficacia non aggiungono niente alle “vecchie e brutte” soluzioni.

Chi costruisce oggi le barche e gli alberi dei coppa america?
Gli alberi necessitano di un discorso a parte rispetto agli scafi, questo perché i primi sono prodotti da realtà industriali o quasi che sono solidamente inseriti da anni in un territorio e con uno staff quasi fisso. Possiamo dire che i due principali costruttori Hall spars (USA ed Olanda) e Southern Spars (Nuova Zelanda e S.Africa) si sono divisi i team che in pochi casi hanno fatto scelte differenti, però sempre in cantieri rinomati (Formula Spars in UK e Marstrom in SWE).
Gli scafi invece sono per la maggior parte costruiti da quella multietnica ed a volte folkloristica truppa di esperti “boat builder” che girano il mondo passando da un top team ad un altro , sia che si tratti di VOLVO OCEAN RACE che ORMA, o America’s Cup. Queste persone che appartengono principalmente al gruppo neozelandese-australiano-inglese sono però inisidiati sempre più da ottimi italiani, spagnoli e francesi cresciuti a loro volta da una barca all’altra e da uno stato all’altro. E’ sempre più frequente ormai andare ad un capo del mondo e vedere che i costruttori di un trimarano sono gli stessi incontrati 4 mesi prima dall’altro capo del mondo su di un VOR 70!
Loro sono la chiave del successo di una costruzione in quanto un buon progetto è solo sulla carta e nella testa del design team mentre una buona barca è nelle mani dei boat builder. Tante sono le fasi della costruzione che sono lasciate all’inventiva ed all’esperienza dei costruttori stessi e queste scelte sono indubbiamente quelle che fanno la differenza tra una barca perfetta ed una che avrà sempre dei problemi.
A mio avviso i progettisti ma più ancora i produttori di materiali e progettisti delle strutture dovrebbero dialogare di più con questi “artisti” in quanto il loro know how è veramente prezioso per la riuscita di un buon progetto.

Il team ed il progettista che meglio ti ha impressionato?
Per umanità, finalità e metodo il team sudafricano a mio avviso spicca su tutti. Il filo conduttore portato avanti da capitan Sarno che mette in prima linea la solidarietà ed il lavoro di squadra ha contribuito all’immagine, ai risultati agonistici ed alla nascita di un team altrimenti irrealizzabile. Quando mai un design team sotto i 30 anni avrebbe avuto in mano la progettazione di un coppa america? Quando mai dei semplici sportivi sarebbero stati proiettati in un equipaggio ai massimi livelli agonistici?
La scelta di Jason Ker come capo del design team è stata poi molto azzeccata in quanto la sua capacità di vedere dentro tutte le tematiche connesse alla progettazione e messa a punto di un CA non è certo comune. Infatti spezzettare la progettazione in tematiche e settori sempre più piccoli e specializzati induce al rischio di non vedere “l’immagine completa” che determinante però il risultato finale.

Tentativi di “corruzione” o “pressioni” subiti?
Nessuno… fino ad ora!

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